Oikos Pesaro
Via Federici 38, Pesaro
info@oikospesaro.it
un angolo di letture
“Qualcosa.. sull’Amore”
(ottobre 2024)
“Questo sentimento popolare, nasce da meccaniche divine” ci canta Battiato in una delle sue canzoni-poesie.
Perché non osare parlare di Amore? Oggi la cultura giovanile guarda con cinismo all’amore e gli adulti hanno perso le parole per descriverlo. Siamo forse vittime dell’idea di amore romantico che ha condizionato una visione dell’amore che ci ha profondamente deluso e che non collima più con le aspettative attuali?
Prendo spunto dal libro di bell hooks “Tutto sull’Amore” con l’intento di focalizzare alcune delle riflessioni che ha suscitato in me. bell hooks è uno pseudonimo scelto dalla scrittrice afroamericana pioniera e icona del pensiero femminista.
“All you need is love” cantavano i Beatles e con loro un’intera generazione negli anni 70. Questo slogan, che ha animato le proteste studentesche e accendeva la forza trasformatrice di orde di giovani, oggi lo si sente molto raramente, e ha perso quasi del tutto il suo effetto attivatore.
Forse, oggi, l’amore non è più considerato una forza di TRASFORMAZIONE, né personale, né sociale.
Intorno alla parola amore c’è un vuoto semantico che rischia di diventare sostanziale. Per ridare parole e soggettività all’Amore, e chiedergli se può ancora avere un potere trasformativo per sé, per gli altri e per il mondo, l’autrice propone di mettere l’accento non sul sostantivo amore, ma sul verbo AMARE.
Amare, è dunque una azione, che implica una scelta. L’autrice fa eco a Eric Fromm che nel 1978 definisce l’amore come “la volontà di estendere il proprio sé al fine di favorire la crescita spirituale propria o di un’altra persona”, l’amore, continua l’autrice, sta nei gesti e nei comportamenti attraverso cui si esprime. Amare quindi non significa soffrire. Amare non significa avere paura. Amare è prendersi cura di sé, farsi del bene e farlo a chi ci sta accanto.
Amare è anche:
- Scegliere di essere onesti. Raramente i genitori insegnano i loro figli a mentire, e chi pratica l’amore non inganna;
- Mettersi in contatto con il vuoto d’amore che c’è in noi e lasciare che dia voce a tutto il suo dolore, la sofferenza a volte può essere una soglia che è necessario varcare per conoscere la grazia dell’amore;
- Comunicare/Ascoltare/Fare silenzio: il filosofo Paul Tillich afferma che in amore la prima responsabilità è ascoltare “non possiamo imparare a comunicare in maniera profonda se non impariamo ad ascoltarci l’un l’altro, ma anche ascoltare NOI STESSI” e tutto il mondo invisibile che ci abita.
- Impegnarsi a mettere i propri bisogni sullo stesso piano di quelli della persona amata.
Quando esplode il conflitto mentre percorriamo il sentiero dell’amore ci demoralizziamo perché spesso non ci sono soluzioni facili e si tende a fuggire ancor prima di sentirne la grazia. Basterebbe essere disposti a modificare o rinunciare a qualcosa di sé per giovare di miglioramenti immediati.
Praticare l’amore però richiede tempo e noi non ne abbiamo mai abbastanza.
Credo che ognuno di noi, se si prendesse il tempo di fermarsi potrebbe scrivere una biografia personale sull’amore solo a partire dalle canzoni che hanno costruito il proprio modo di amare e scoprirebbe forse che quel potere trasformativo che ha la forza di rivoluzionare il mondo è solo sopito sotto un cumulo di cenere, affaticato e appesantito.
“ La nostra lotta è anche una lotta della memoria contro l’oblio” ci dice bell hooks in un altro suo libro.
Allora accettiamo la sfida, riprendiamo le nostre parole d’amore, riascoltiamo le “nostre” canzoni, condividiamocele, attualizziamole, facciamole respirare, facciamole ascoltare ai nostri cari, ai nostri figli e proviamo a ri-attivare il potere trasformativo dell’Amore.
Oppure siamo tra quelli che lasciano che sia l’algoritmo di spotify a scegliere per noi?
Barbara Mattioli
Aprire o Chiudere
(settembre 2024)
“E' tempo di imparare a cadere
E' tempo di rinunciare al veleno
E' tempo di dominare il fuoco
E' tempo di ascoltare davvero
L'amore a settembre mi ha fatto sentire ancora leggera”
Cristina Donà
Quando arriva settembre vivo sempre dei sentimenti contrastanti. Da una parte un senso di nostalgia per le cose belle vissute, il tempo libero, i sapori dell’estate; dall’altra un’energia che mi assale di voler ricominciare, una voglia di novità, voler mettere a terra i progetti personali e lavorativi che sento nascere dentro di me.
Non so se settembre sia la fine o l’inizio. È un tempo sospeso pieno di possibilità in una direzione o nell’altra; si può chiudere o aprire, si può rimanere intrappolati nel passato o sentirsi lanciati con fede nella vita verso il futuro.
Settembre sembra essere una metafora della nostra condizione umana che ci può aiutare a riflettere sul nostro modo di stare al mondo, sulla nostra relazione con il tempo, sulla nostra fede nella vita e sulla nostra capacità di dare forma ai nostri desideri.
Settembre vuole dire trovare “
l’alba dentro l’imbrunire
”, vivere il paradosso di una fine che è allo stesso tempo un inizio.
È un tempo dove sentire tutta l’energia che ci muove e che ci fa vivi, nella possibilità di creare, ricominciare, sognare, ma con la leggerezza di non dovere compiacere nessuno, tenendo a bada il nostro narcisismo.
I progetti più interessanti riguardano il nostro viaggio dentro di noi; sentire ciò che si muove dentro, provare a dare espressione a tutto ciò, è sicuramente una delle cose più belle e importanti della nostra vita.
Un altro aspetto interessante riguarda le relazioni. Ci sono le relazioni che hanno bisogno di essere curate di più, ma anche quelle che possono essere potate. Ci sono quelle che ci aiutano a crescere e ad essere più autentici e quelle che ci intrappolano e non ci fanno esistere. Nei tempi di passaggio è importante saperle discernere.
Ci sono poi i progetti legati al “fare”: la palestra, qualche corso interessante, viaggi… Anche questi sono fondamentali perché ci proiettano nella dimensione del piacere.
Cristina Donà nella sua bellissima canzone
Settembre
dice, tra le altre cose, che a settembre è tempo di imparare a cadere. Questo invito è forse la cosa più difficile ma anche la più importante e necessaria. L’essere umano di cui abbiamo veramente bisogno è quello che sa cadere e che accetta questo fatto inevitabile della dimensione umana non con senso di colpa ma con leggerezza e fede nella vita.
Filippo Mondini
Svelamenti
Scuola e adolescenti
(maggio 2024)
Il mese di maggio risuona da sempre per me con la “Canzone del maggio” di De André che mi ricorda che c'è stato un tempo in cui si correva, si lottava e si rischiava per quello in cui si credeva.
Questo maggio, come tutti i mesi di maggio dell'anno scolastico è quello più intenso dell'anno.
Le aspettative che serpeggiano silenziose nei mesi precedenti si trasformano in questi giorni in necessità di voti, valutazioni, recuperi, bisogno di prove, di atteggiamenti e movimenti che mettano i ragazzi sotto un riflettore ben preciso, in una luce più chiara per gli insegnanti che devono valutare e decidere.
Insegnanti stressati, ragazzi stressati, genitori in apnea fino a metà giugno, oppure in fibrillazione tra un prof e l'altro o la presidenza per spostare il focus sul proprio ragazzo.
Quest'anno ho un osservatorio privilegiato per riflettere su questo strano mese e in generale sulla scuola; il Progetto Antidispersione del Ministero dell’istruzione, oggi chiamato del merito, attraverso il Pnrr ha previsto la possibilità che ci siano esperti esterni ad affiancare i ragazzi, i professori e le famiglie nell'arduo compito di dare senso al percorso scolastico e formativo con tutti quei ragazzi che un senso non lo trovano, o lo hanno perso per strada e rischiano di abbandonare il percorso scolastico.
Da questo osservatorio oggi sto imparando alcune nuove forme di contestazione che sono proprio gli adolescenti di oggi a svelarmi.
Ci ho messo un po’ a convincermi di iniziare a scriverci sopra, a decidermi di dare forma a un segreto svelatomi all'orecchio di uno spazio privilegiato, protetto, quasi segreto, ma scrivere è scolpire e siamo una società troppo effimera per non provare almeno a incidere su pietra quelli che penso siano dei modi di leggere la realtà che abbiamo la responsabilità di imparare.
Propongo qui alcune frasi, alcuni frammenti di conversazione che mi risuonano:
Ho il marciume del letto: (bed-rotting) quell'alone lasciato nel letto durante i periodi in cui alzarsi proprio non se ne parla. Nel letto si mangia, si piange, si parla, si dorme (ma rigorosamente di giorno), si gioca, tutto avviene sdraiati e solo lì ci si sente al sicuro, solo lì "ci si sente". Se ne è afflitti a periodi, se ne esce a tratti, generalmente per costrizione, per non sentire più urlare o piangere mamma, perché la scuola chiama o perché una amica o un amico ti trascinano fuori a forza.
Born to be wild: la natura come spazio in cui ci si sente persone e ci si sente bene. La si cerca e la si abita, possibilmente in piccoli gruppi senza uno scopo o una meta se non quello di stare e allontanarsi dalla città
Mi hanno doxato: termine che si usa nei social, quando qualcuno cerca informazioni su di te per poi “infamarti”, possono essere anche persone che non conosci e che non ti conoscono.
Libertà; di essere sé stessi, di farsi i c…. propri, di avere un proprio pensiero, di essere gentili.
Ci si sente vuoti senza sapere cosa succede dentro la nostra testa.
A scuola non mi insegnano a vivere, io sono una depressa felice.
Svelamenti.
Inconsapevoli contestazioni individuali che cercano connessioni.
Quale è il tessuto che connette? Che ci connette a loro e li aiuta ad emergere?
Questo meccanismo di contestazione con un linguaggio individuale, dobbiamo necessariamente interpretarlo nel migliore dei casi cogliendone un portato concettuale ideologico, o cercando tra le tante la giusta categoria diagnostica per poterlo meglio controllare, o è l’unico modo rimasto per elaborare criticamente la società che ci circonda?
Secondo me il portato rivoluzionario è scritto nei loro corpi, è un nuovo modo di affrontare il sociale e abbiamo il dovere di imparare a leggerlo.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte …
Buon maggio a tutti!
Barbara Mattioli
Fuori dalle vetrine
(febbraio 2024)
“…è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati” (Le città invisibili, Italo Calvino).
Che fine faranno i desideri nel grande contenitore di Pesaro città della cultura? Sarà questo evento a fare di Pesaro una città capace di dare forma ai desideri di chi ci abita? Che fine ha fatto la ricerca del desiderio in questo tempo? Quali sono i luoghi, le relazioni, i conflitti che aiutano a sentire il desiderio?
Ogni amministrazione sceglie la città che corrisponde ai suoi desideri e al proprio sentire. Nella visione culturale di una città traspare la visione politica e l’orizzonte verso cui andare.
L’orizzonte che si intravede è fatto di calcoli economici, investimenti, format presi in prestito e riempiti di eventi.
La cultura che si respira è una cultura a senso unico dove l’intellettuale è chiamato a fare da cassa di risonanza al potere ed ai potenti di turno.
La cultura diventa una semplice organizzazione del tempo libero trasformandolo in divertimento.
Non è più importante domandarsi che cosa voglio fare oggi, ma diventa centrale la domanda “che cosa c’è da fare oggi?”.
Il tempo libero viene così mercificato aggiungendo evento ad evento, intrattenimento ad intrattenimento.
La cultura diventa così merce, indicatore economico, vetrina; ci viene presentato come ideale uno stato di cose brutale e profondamente ingiusto, dove ogni esistenza viene valutata in termini economici e chi si sottrae a questo gioco non esiste più.
Bauman ha descritto molto bene il ruolo svolto oggi dagli intellettuali: l’intellettuale è per lui un interprete, cioè colui o colei “che mette la propria competenza professionale al servizio della comunicazione tra soggetti sovrani”. Pesaro città della cultura esprime benissimo questa decadenza degli intellettuali.
La natura della cultura è il confronto con la diversità; Levi Strauss ha detto “che solo nel confronto con un’altra cultura l’intellettuale scopre sé stesso”. Allora sarebbe bello parlare di Pesaro città delle culture come spazi di condivisione e di differenze; Spazi di prossimità per pensare ad altri mondi possibili.
Io immagino questo:
Pesaro città di una cultura che apre mondi.
Pesaro città di una cultura lontana dal potere.
Pesaro città di una cultura non strumentalizzabile.
Pesaro città di una cultura che nasce dal basso.
Pesaro città di una cultura che crea interconnessioni.
Pesaro città di una cultura che apre all’immaginazione.
Pesaro città di una cultura che crea orizzonti.
Pesaro città di una cultura che sta scomoda nelle vetrine.
Pesaro città di una cultura che rifiuta l’Airbnbizzazione.
Ognuno può aggiungere quello che immagina. È questa la natura della cultura collettiva. Ognuno può scegliere il desiderio a cui dare forma dentro la città.
Oppure, dalle città, si può scappare…
Filippo Mondini
Oikos Pesaro
Via Federici 38, Pesaro
info@oikospesaro.it